mercoledì 27 agosto 2008

Ettorex - Sesta Parte - Quel giorno che mi ruppi il dito del piede

Quel giorno che mi ruppi il dito del piede, Ettorex se la prese mica poi tanto, anzi, trovò il suo porco guadagno.

Che in fin dei conti, lui, son riuscita a tirarlo su bene, io : in base ai miei ideali di libertà, di indipendenza ed ottimismo, e soprattutto nel trovare il lato positivo anche nel lato peggiore delle cose.

Come quel giorno lì, che mi ruppi il dito del piede e che persi un sacco di sangue, e che mi dissi ora muoio dissanguata ed Ettorex, per sopravvivere, dovrà mangiare i miei resti.

Era un periodo che mi ero messa in testa che le percussioni attivassero in me un qualche istinto primitivo e ancestrale, un qualcosa che mi facesse sentire più natura e meno condizionamenti.

Avevo anche un'amica che la pensava così, ma lei diciamo che forse era più estrema di me: aveva lasciato la facoltà di Scienze Politiche per ritirarsi in un casolare nella campagna sperduta e allevare animali; adesso c'ha ripensato, si è laureata, vive in appartamento in centro e dirige un hotel.

Ma in quel tempo lì ancora non era così, e con altri amici ci riunivamo in un bel gruppone e possibilmente in mezzo ai prati, che dopo tante notti a filosofeggiare sull'istinto primordiale e sulla Birra Moretti, mentre Ettorex mi scorrazzava intorno, ci venne in mente che mi avrebbero regalato un djambé: a me, che ero l'unica che poi fondamentalmente cercava la coerenza.
No, c'è ne era anche un altro, che ora fa il ballerino di professione e si è rifatto anche il naso, ma c'ha sempre un bel culo. Che una volta, siccome voleva farla finita con la corrente elettrica, gli elettrodomestici, la schiavitù industriale e l'acqua calda, prese in affitto un monolocale senza luce, senza elettrodomestici e acqua calda, solo che sbagliò il periodo che era inverno, si prese la polmonite e fu anche portato all'ospedale, ed ora è quel che è, che manco lo vedo più, quasi.

Ecco quel djambé lì, alla fine, era abbastanza corposo, abbastanza grosso, abbastanza robusto, abbastanza ingombrante, molto pesante, che un giorno mi cadde su un piede e mi ruppe il dito, alla faccia dell'istinto ancestrale.

Mi tagliai anche le sanguignee carni, sì che flotti di sangue annebbiarono la mia vista, tanto da costringermi ad urlare. Cazzo urlo, dissi poi, che in casa son sola.

C'era solo Ettorex, che allora scoprii essere più curioso della pettegola più pettegola del paese, la quale soffriva anche di insonnia, e che di giorno e di notte, qualunque ora fosse, se sentiva un rumore si affacciava, e dato che tante volte a far quel rumore ero quasi sempre io...

Ettorex, da buon borghese appesantito quale era diventato, in barba alle sue bassissime origini, si avvicinò lentamente, mi guardò bene, annusò tutto con precauzione e non trovando il mio sangue di suo gradimento, si allontanò, anche un po' disgustato, che fra sé e sé, son convinta, disse anche tanto rumore per nulla.

Indi io, zoppicante e dilaniata dal profondo dolore, mi gettai giù per le scale e poi nella strada del paese a cercar gente, a chieder aiuto (Ettorex credo dormisse già sul divano a quel punto).

Così fui soccorsa da un emerito vicino, a cui devo molte cose (un cd, due libri, un tavolinetto e 3 fiaschi di vino), che mi portò al pronto soccorso, e lì, tra code, bollini, codici, dichiarazioni, si metta in sala d'aspetto, la chiamiamo noi, ma cazzo, ma mi fa male, signorina deve aver pazienza, ci son prima cose più gravi, se vuole un antidolorifico, ma tanto deve aspettare lo stesso, ci passammo tutto il pomeriggio e mezza serata.

Ettorex, son convinta, iniziò a preoccuparsi solo verso l'ora di cena.

Ma dato che, come premesso, lo avevo abituato all'indipendenza ed all'ottimismo, vide bene di saziare il suo appetito famelico, con quel che si poteva : una buona mezza fetta della pelle del mio djambé.

Che avevo ben da lambiccarmi il cervello io, quando tornai a casa e andai sul luogo del delitto, che quella parte della pelle che mancava, mi chiedevo, come avrà fatto a spaccarsi di netto, così? E l'altra parte, dove sarà finita? che mica è esplosa?

La risposta mi fu prontamente fornita dal mio fedele amico, quando con una dignitosissima nonchalance venne a prendersi, scodinzolante, ma che secondo me era un surrogato del fischiettio, anche l'altra parte per lo spuntino notturno.

E lì, mi incazzai, neh?, che dico a parte il fatto che ti fa pure male, che chissà con che l'hanno trattata quella pelle lì, che manco sai di che animale è, ma poi, dico, sei proprio un porco.

Divino! Che c'ha delle espressioni, che son proprio umane, Ettorex.

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volantino, “Perché lottiamo” – 1976

Perché?

– Perché intervenire in un quartiere occupando una casa con appartamenti vuoti da anni?

– Perché opporsi alla speculazione edilizia?

– Perché creare un centro sociale dove tutti si possano incontrare e discutere di vari problemi liberamente?

– Perché rifiutare una società che di fatto elimina i rapporti fra gli individui e gli crea delle città che sono alveari?

... per una società senza servi e senza padroni.