mercoledì 10 settembre 2008
martedì 9 settembre 2008
Benvenuto OGM

La Cina acquista terreni coltivabili in Brasile, Laos, Kazakhistan e Tanzania, l’India in Uruguay e Paraguay, la Corea del Sud in Sudan e in Siberia, l'Egitto in Ucraina.
... ?
...cosa si può dedurre?
Che la nostra possibilità di mangiare dipenderà da enormi omoni grassissimi che si metteranno davanti ad un mega schermo e con un semplice movimento di Joystick allagheranno un posto e ne desertificheranno un altro per creare stranissimi clima in base ai propri interessi?
O una necessità alimentare da colmare con le sementi OGM adatte appunto al quel determinato clima?
Se qualora domani al CERN qualcosa andasse storto.... almeno sappiamo cosa ci attende.
mercoledì 27 agosto 2008
Ettorex - Sesta Parte - Quel giorno che mi ruppi il dito del piede
Quel giorno che mi ruppi il dito del piede, Ettorex se la prese mica poi tanto, anzi, trovò il suo porco guadagno.
Che in fin dei conti, lui, son riuscita a tirarlo su bene, io : in base ai miei ideali di libertà, di indipendenza ed ottimismo, e soprattutto nel trovare il lato positivo anche nel lato peggiore delle cose.
Come quel giorno lì, che mi ruppi il dito del piede e che persi un sacco di sangue, e che mi dissi ora muoio dissanguata ed Ettorex, per sopravvivere, dovrà mangiare i miei resti.
Era un periodo che mi ero messa in testa che le percussioni attivassero in me un qualche istinto primitivo e ancestrale, un qualcosa che mi facesse sentire più natura e meno condizionamenti.
Avevo anche un'amica che la pensava così, ma lei diciamo che forse era più estrema di me: aveva lasciato la facoltà di Scienze Politiche per ritirarsi in un casolare nella campagna sperduta e allevare animali; adesso c'ha ripensato, si è laureata, vive in appartamento in centro e dirige un hotel.
Ma in quel tempo lì ancora non era così, e con altri amici ci riunivamo in un bel gruppone e possibilmente in mezzo ai prati, che dopo tante notti a filosofeggiare sull'istinto primordiale e sulla Birra Moretti, mentre Ettorex mi scorrazzava intorno, ci venne in mente che mi avrebbero regalato un djambé: a me, che ero l'unica che poi fondamentalmente cercava la coerenza.
No, c'è ne era anche un altro, che ora fa il ballerino di professione e si è rifatto anche il naso, ma c'ha sempre un bel culo. Che una volta, siccome voleva farla finita con la corrente elettrica, gli elettrodomestici, la schiavitù industriale e l'acqua calda, prese in affitto un monolocale senza luce, senza elettrodomestici e acqua calda, solo che sbagliò il periodo che era inverno, si prese la polmonite e fu anche portato all'ospedale, ed ora è quel che è, che manco lo vedo più, quasi.
Ecco quel djambé lì, alla fine, era abbastanza corposo, abbastanza grosso, abbastanza robusto, abbastanza ingombrante, molto pesante, che un giorno mi cadde su un piede e mi ruppe il dito, alla faccia dell'istinto ancestrale.
Mi tagliai anche le sanguignee carni, sì che flotti di sangue annebbiarono la mia vista, tanto da costringermi ad urlare. Cazzo urlo, dissi poi, che in casa son sola.
C'era solo Ettorex, che allora scoprii essere più curioso della pettegola più pettegola del paese, la quale soffriva anche di insonnia, e che di giorno e di notte, qualunque ora fosse, se sentiva un rumore si affacciava, e dato che tante volte a far quel rumore ero quasi sempre io...
Ettorex, da buon borghese appesantito quale era diventato, in barba alle sue bassissime origini, si avvicinò lentamente, mi guardò bene, annusò tutto con precauzione e non trovando il mio sangue di suo gradimento, si allontanò, anche un po' disgustato, che fra sé e sé, son convinta, disse anche tanto rumore per nulla.
Indi io, zoppicante e dilaniata dal profondo dolore, mi gettai giù per le scale e poi nella strada del paese a cercar gente, a chieder aiuto (Ettorex credo dormisse già sul divano a quel punto).
Così fui soccorsa da un emerito vicino, a cui devo molte cose (un cd, due libri, un tavolinetto e 3 fiaschi di vino), che mi portò al pronto soccorso, e lì, tra code, bollini, codici, dichiarazioni, si metta in sala d'aspetto, la chiamiamo noi, ma cazzo, ma mi fa male, signorina deve aver pazienza, ci son prima cose più gravi, se vuole un antidolorifico, ma tanto deve aspettare lo stesso, ci passammo tutto il pomeriggio e mezza serata.
Ettorex, son convinta, iniziò a preoccuparsi solo verso l'ora di cena.
Ma dato che, come premesso, lo avevo abituato all'indipendenza ed all'ottimismo, vide bene di saziare il suo appetito famelico, con quel che si poteva : una buona mezza fetta della pelle del mio djambé.
Che avevo ben da lambiccarmi il cervello io, quando tornai a casa e andai sul luogo del delitto, che quella parte della pelle che mancava, mi chiedevo, come avrà fatto a spaccarsi di netto, così? E l'altra parte, dove sarà finita? che mica è esplosa?
La risposta mi fu prontamente fornita dal mio fedele amico, quando con una dignitosissima nonchalance venne a prendersi, scodinzolante, ma che secondo me era un surrogato del fischiettio, anche l'altra parte per lo spuntino notturno.
E lì, mi incazzai, neh?, che dico a parte il fatto che ti fa pure male, che chissà con che l'hanno trattata quella pelle lì, che manco sai di che animale è, ma poi, dico, sei proprio un porco.
Divino! Che c'ha delle espressioni, che son proprio umane, Ettorex.
domenica 24 agosto 2008
Intervallo
Pranzo : apro frigorifero, burro, latte, vodka, cipolla, niente; unica soluzione : latte e biscotti.
Cena : apro frigorifero, burro, latte, vodka; apro mobile : fagioli secchi (tempo di preparazione 18 ore), collezione di pane secco, niente - latte, biscotti e vodka... per una nota esotica.
domenica 20 luglio 2008
Ettorex - Terza parte
Abbiam vissuto molto anni assieme, Ettorex ed io, in una casa arroccata su un colle toscano. Era il periodo in cui avevo deciso che l'aria di campagna fosse un toccasana per me, per il mio sistema nervoso, per i miei studi universitari (ero alla porte della tesi) e per il mio cane.
La casa era costruita praticamente sulle mura della fortezza del gaudente paesello, avevo un enorme camino, stanze enormi e bellissimi paesaggi boschivi fuori dalle finestre, il tetto a travicelli era un po' malandato e ogni tanto pioveva dentro, ma due pentole ed un secchio risolvevano il problema.
Il clima campestre era confortevole ed Ettorex ed io instaurammo da subito una pacifica convivenza, basata sull'indipendenza assoluta: entrambi inaffidabili, potevamo contare solo su noi stessi, sia lui che io.
Credo che quello fu il periodo in cui Ettorex mangiò meglio in vita sua. Infatti stava velocemente raggiungendo le dimensioni di un porco.
Essendo poco simpatizzante dell'antichissima arte del fare la spesa, sovente dimenticavo il cibo per Ettorex ed ai pasti, presa da fortissimi sensi di colpa, non avevo altro da fare che dividere il mio pasto con lui. Fu così che Ettorex si abituò a mangiare mozzarella, tonno, pasta a pomodoro, uova, fettine di carne e prosciutto, a volte anche verdura, ma non era tanto amante delle insalate e nemmeno delle patate.
Devo ammetter che i pasti erano i momenti in cui Ettorex mi dimostrava il suo più sentito amore, la sua più profonda dedizione, tutta la sua passione: si appoggiava alle mie gambe e mi guardava con due occhioni così grandi e lucidi, che talvolta pensavo avesse nei geni un qualcosa di alieno.
Ciò che però mi commuoveva di più era la sua espressione a cane abbandonato, un famelico cane abbandonato: mi guardava come se non avesse mangiato da anni. Ed io commossa all'inverosimile, mi sentivo un po' apostola, e lo nutrivo, così così come si darebbe da mangiare agli affamati e da bere agli assetati.
I risultati non si facevano attendere: Ettorex aveva sempre di bisogno di uscire per i suoi abominevoli bisogni, conosciuti ormai da tutto il paese.
Reputandomi per affinità parente al Parini, la mattina mi crogiolavo nel letto ad oltranza; Ettorex, in quanto più animalesco direi, e poco avvezzo alle storie dei giovin signori, invece, amava sul far dell'alba, seguire i suoi istinti di natura, e, quando natura chiama, chiama e lui rispondeva ululando.
Così, destandomi all'improvviso, aprivo lui la porta ed Ettorex, autonomamente usciva.
Non so che facesse, fatto sta che almeno smetteva di ululare.
A sentir le voci di paese, non troppo amichevoli purtroppo, pare che nelle sortite mattutine, fosse solito andar per galline, mangiare il cibo ai gatti della signora Clotilde, che ogni volta si incazzava come le bestie, abbaiare a chiunque tentasse di passare sulla viuzza onde si trovava la nostra abitazione e azzuffarsi con qualsiasi cosa che pareva, solo a lui, si muovesse (a volte eran lucertole, a volte l'ortolano, a volte sassi o piante). Fatto sta che tirava su un canaio che, se mi andava bene, ricevevo solo minacce da vicini.
volantino, “Perché lottiamo” – 1976
Perché?
– Perché intervenire in un quartiere occupando una casa con appartamenti vuoti da anni?– Perché opporsi alla speculazione edilizia?
– Perché creare un centro sociale dove tutti si possano incontrare e discutere di vari problemi liberamente?
– Perché rifiutare una società che di fatto elimina i rapporti fra gli individui e gli crea delle città che sono alveari?
... per una società senza servi e senza padroni.